E' il poeta siciliano forse più ignoto, sia per quanto riguarda il
periodo in cui visse, che per ciò che compose, sicuramente molto valido, per avergli
permesso di vincere le gare poetiche che si tenevano in occasione di due feste religiose:
le Dionisie e le Lenee. Perciò approfittiamo dell'occasione che il nudo nome di Eudosso
ci porge per parlarne. Le Dionisie si tenevano in due periodi
dell'anno: tra dicembre e gennaio, si svolgevano fuori porta e venivano dette Dionisie
minori. Le dionisie maggiori si organizzavano in città tra marzo e aprile, in un lasso di
tempo detto mese di Elafebolione. Ed era in Atene che le novelle commedie e tragedie
venivano presentate e gareggiavano, sottoposte a giudizio ed a riconoscimenti ambiti. Tali
gare, o meglio la necessità di onorare la figura del dio del vino e della gioia, furono
le promotrici della nascita di commedie e ditirambi, tragedie e drammi satirici.
Le Lenee erano una appendice alle Dionisie minori, iniziando alla fine di queste e
durando per tutto il mese di febbraio. Leneo era il sopranome del dio, e significa
"torchio", per chiaro riferimento alle manipolazioni dell'uva.
Un commento descrittivo a tutto tondo sulle feste Dionisiache, e tant'altro dello stato
d'animo ellenico nei confronti dei travagli fissi dell'esistenza, lo cerchiamo in Nietzsche:
"L'arte dionisiaca invece è basata sul gioco con l'ebbrezza, con l'estasi. Sono
sopratutto due le potenze che innalzano l'ingenuo uomo naturale all'oblio di sé proprio
dell'ebbrezza: l'impulso primaverile e la pozione narcotica. I loro effetti sono
simbolizzati nella figura di Dionisio. Il principium individuationis viene soppresso in
entrambi gli stati, il soggettivo si dissolve completamente di fronte alla straripante
potenza dell'umano-in-generale, anzi del naturale in genere. Le feste dionisiache non
saldano soltanto il legame tra uomo e uomo, conciliano anche l'uomo con la natura. La
terra offre spontaneamente i suoi doni, i più selvaggi animali si avvicinano con fare
pacifico. Il carro di Dionisio, tutto coperto di fiori, è trainato da tigri e pantere.
Tutte le divisioni di casta, imposte tra gli uomini dalla necessità o dall'arbitrio,
spariscono: lo schiavo è un uomo libero, l'aristocratico e il plebeo si uniscono insieme
negli stessi cori bacchici. Di luogo in luogo e in sempre più crescenti schiere si danza
il vangelo dell'armonia universale: cantando e ballando l'uomo si esprime come membro di
una più alta e più ideale comunità: egli ha perduto la misura del camminare e del
parlare. Non solo: egli si sente come dentro un incantesimo ed è diventato un altro.
Così come gli animali parlano e la terra dà latte e miele, allo stesso modo anche da lui
emana qualcosa di soprannaturale. Egli si sente un dio, e ciò che già aveva vissuto
nella sua immaginazione, ora lo sperimenta in se stesso. Che cosa sono per lui, ora,
ritratti e statue? L'uomo non è più artista, è diventato opera d'arte, e così
inebriato ed estasiato, si aggira come in sogno aveva visto aggirarsi gli dei. La potenza
artistica della natura, non già quella di un singolo uomo, gli si svela: un'argilla più
nobile, un marmo più prezioso viene qui digrossato e lavorato: l'uomo. Quest'uomo,
plasmato da quell'artista che è Dionisio, sta alla natura come la statua all'artista
apollineo". (F.Nietzsche;Verità e menzogna;Newton;1991).
Ovviamente invitiamo il lettore a completare la lettura di detto importante saggio.
Ancora ricorriamo a Diogene Laerzio per un altro spezzone di notizia:
"Ve ne furono tre col nome di Eudosso: il nostro (di Cnido; n.d.A.), un altro
di Rodi e storico, un terzo siceliota, figlio di Agatocle, poeta comico
che ottenne tre vittorie in città, cinque alle feste Lenee, come riferisce Apollodoro
nella Cronologia". (VIII, 90).
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