Archimede di Siracusa
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Busto di ArchimedeE' tra i grandi di ogni epoca, ed il suo contributo a far temere irripetibile il clima brulicante di genialità della corte siracusana non va escluso, pur non riguardante la sfera letteraria. Egli ha lasciato dietro al suo nome una così grande scienza che qualcuno stenta a credere alle notizie sulle sue capacità e realizzazioni; anche se riportate da fonti dimostrate attendibili per fatti più ordinari. E la sua morte per rozza mano, più che bruta ci pare emblematicamente caratteristica degli alti e bassi dello spirito umano, con le sue pronte ripercussioni nella storia, ed accadimenti spesso orrendi: con la fine di Archimede un soffio animale, quello sempre imprevedibile, spegne simbolicamente la umanamente divina fiamma ellenica della Sicilia, l'unica dei poeti creatori di nuovi ritmi e delle commedie, di uno stile di vita con le sue mode e le famose estrosità come il gioco del cottabo; e il gesto irrazionale di un uomo puro soldato, paragonabile a quello commissionato da Antonio contro Cicerone, sembra faccia fuggire quelle Muse cui si è creduto per vari secoli, dopo aver ispirato alla Magna Grecia tutta ed alla Trinacria, pensieri davvero immortali che qui semplicemente e semplificando ricordiamo, sfogliando gialle pagine da trascrivere (digitando) su nuove ancora candide.

Roma non saprà dare, impegnata essa stessa ad apprendere, quanto diede la Grecia sul piano culturale, e la Sicilia inizierà daccapo a percorrere una diversa trazzera; un po' meno sola, ma un po' meno regina. Pur se grande merito va ai Romani d'essersi innamorati del vivido respiro greco, anche in Sicilia, curando il mantenimento di tradizioni e monumenti, come quelli di Segesta IMG.

Qui, e altrove, leggiamo di cose già note e poi nel tempo riscoperte da altri: se ignoriamo che alcuni traguardi già dall'uomo raggiunti già ci appartengono, forse non siamo in grado di accettarli pienamente, (perché scomodi per i nostri atavici difetti?). In una piccola, buia biblioteca c'è già più di quanto le esperienze della nostre singole vite potranno insegnarci: andiamoci, e leggiamo quanto più possiamo.

Ciò che lo storico romano Tito Livio definì manus ferrea e speculo con le quali vennero sollevate, per poi essere buttate sugli scogli, e bruciate le navi romane (Ab Urbe còndita, XXIV, 34) vennero progettati da Archimede. Il fisico e filosofo nato a Siracusa nel 287 è stato anche uno dei più grandi matematici dell'antichità. Era il figlio dell'astronomo Fidia. Probabilmente Archimede studiò ad Alessandria d'Egitto, e lì fece amicizia con Conone di Samo, Dositeo di Pelusio, Eratostene di Cirene, e fu allievo di Euclide alla scuola di questi; tornò poi a Siracusa, dove scrisse quasi tutte le sue opere: Della sfera e il cilindro, Misura del circolo, Conoidi e sferoidi, Le spirali, Sull'equilibrio dei piani, Arenario, Quadratura della parabola, Sui corpi galleggianti, Stomachion, Ad Eratostene: sul metodo sulle proposizioni meccaniche, ed altri frammenti.

Tutte le sudette opere furono tradotte in latino nel medioevo e studiate a fondo durante il Rinascimento. Archimede a noi interessa ricordarlo per il suo contributo dato alla filosofia ellenica, insieme ai colleghi della prestigiosa e longeva scuola di Alessandria del III secolo a. C.; loro grande merito è stato quello di ignorare i preconcetti ed usare il metodo oggi definibile sperimentale (o galileano), per la verifica pratica dei dati suggeriti dall'osservazione diretta; così facendo hanno lasciato un metodo applicabile genericamente allo studio delle scienze che sarebbero poi diventate geografia e geometria, per esempio.

Archimede più nettamente chiede alla formulazione teorica che si tramuti in applicazione tecnica, catalogando e verificando rigidamente i dati ottenuti.

Egli morì a Siracusa nel 212 a.C. - si dice per mano d'un soldato incerto sul da farsi di fronte all'indifferenza provata dal genio nei suoi riguardi - durante l'assedio romano guidato da Marcello, a causa della rottura dell'alleanza tra Siracusa e Roma, stipulata dal tiranno siciliano Gerone II, che morì nel 215 a.C. La sua lungimiranza aveva limitato a Siracusa le conseguenze della disfatta della prima guerra punica tra Roma e Cartagine con un trattato col console Valerio (Messalla): era il 263 a.C.

Il nipote del tiranno, Geronimo, ottentuo il trono, nel corso della seconda guerra punica fu convinto dalle offerte di due ufficiali cartaginesi - Ippocrate e Epicide - a sciogliere l'alleanza con Roma per appoggiare le gesta di Annibale.

Ecco quali furono le conseguenze che, sempre, atterriscono gli amanti della pace, con le parole di Polibio:

"Allorquando nella parte d'Italia ch'era appellata Magna Grecia arsi furono i collegii de' Pitagorici, insorse tosto un movimento universale degli Stati, conforme accader dovea, poiché così inaspettatamente eran periti gli uomini principali di ciascheduna città".
(Storie, libro II, cap.XXXIX, a cura di I. Kohen, UTET, 1855, Torino)

 

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