E' una figura che si intravede appena, offuscato dalla linea di confine
tra storia e leggenda, dalla vita e dal destino ultimo simile a quello di Caronda per i natali, per la professione - di legislatore di
Siracusa - e per aver deciso di morire per proprio puntiglio, volontà e di sua stessa
mano. Diocle il demagogo visse, nel V a.C. e dovrebbe essere stato testimone diretto
della battaglia che si svolse nelle acque del porto di Siracusa tra i siciliani e gli
alleati di Sparta contro la flotta ateniese (413), con il conseguente inizio del declino
militare di Atene. La grande città venne poi vinta nel 404, perdendo sempre più da tal
data prestigio militare.
Questa che segue è la traccia lasciata da Diodoro Siculo su Diocle,
ma si tratta, secondo la critica moderna, di una svista dello storico siculo, che confonde
il Diocle demagogo con un omonimo pur esso siracusano.
"Finita poi la guerra Diocle diede un codice di leggi ai Siracusani; in
proposito di che a quest'uomo accadde cosa degna veramente d'essere ricordata. Dicesi
adunque, che essendo egli inesorabile in voler eseguire le stabilite pene, e contro i
delinquenti procedendo con rigidissima severità; siccome avea tra le altre cose
stabilito, che chi uscisse in piazza con armi incorresse pena di morte, né potesse
suffragargli titolo d'imprudenza, o di circostanza qualunque ancorché singolarissima, a
lui stesso accadde di violar quella legge: ed ecco come. Fu detto che i nemici avevano
fatta una irruzione nel territorio siracusano; ed egli, come gli altri cittadini,
v'accorse armato di spada. Poscia suscitatasi sedizione in piazza volle parimente
accorrere colà, senza fare attenzione d'avere al fianco la spada. Il che veduto da
qualcuno, e rimproverato come egli s' abrogasse le proprie leggi, Diocle immantinente
rispose: 'non fia certo, per Giove, che ciò accada: ma anzi la confermerò'. E così
dicendo, tratta la spada del fodero si trafisse". (Biblioteca, libro XIII,
cap.V; trad. C.Compagnoni, Pedone e Muratori, 1831)
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