Caronda di Catania
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Mezzobusto di CarondaFamosissimo legislatore di Catania; è un personaggio storico che deve ritenersi vissuto al più tardi nel VI secolo a.C. Delle sue leggi si sa che erano molto rigide, al punto che pare lui sia morto in ossequio ad esse. Oltre a riferire che egli apparteneva al ceto medio catanese (Pol. IV, 1296, a) questo riferisce su di lui Aristotele nella Politica:

"Furono pure legislatori Zaleuco per gli abitanti di Locri Epizefiri e Caronda di Catania per i suoi concittadini e per le altre città calcidiche d'Italia e di Sicilia" (II, 1274, a; a cura di R.Laurenti, Ed. Laterza, 1993).

Zaleuco fu maestro di Caronda. Aggiungendo poi il filosofo:

" (...) quanto alle cariche non è permesso a chi possiede il censo rifiutarle dopo il giuramento, mentre è permesso ai poveri: quanto ai tribunali, c'è un'ammenda per i ricchi se non danno il voto, per i poveri invece c'è immunità ovvero l'ammenda è grande per gli uni, piccola per gli altri, come nelle leggi di Caronda" (IV, 1297, a; ib.).

Pare un uomo vero non una figura mitica, Caronda, che crede in qualcosa che non gli viene imposto dall'esterno, come le convenienze politiche o di casta. Ma sogniamo come fanno gli amanti delle cose classiche, tornando a Caronda: un giudizio molto sintetito su di lui potrebbe essere questo:

"Non c'è niente di speciale nel codice di Caronda, se non i processi per falsa testimonianza (in realtà fu il primo a introdurre la denuncia di questo reato) ma per la precisione delle sue leggi egli è il più rifinito degli odierni legislatori" (II, 1274, b; ib.)
Ed ancora viene riferito in merito alle sue iniziative giudiziarie:

"In primo luogo è necessario che si associno quegli esseri che non possono esistere se non insieme, come avviene al maschio e alla femmina per la procreazione dei figli (..) la prima associazione di questi due esseri è costituita dalla famiglia, e giustamente Esiodo dice nel suo poema: - Innanzi tutto la casa, la donna e il bue che ara - ed infatti i poveri hanno il bue invece dello schiavo. La famiglia dunque è una associazione stabilita da natura per i bisogni della vita giornaliera, e i suoi componenti Caronda li chiama - commensali - e Epimenide di Creta - coabitanti sotto lo stesso focolare -". ( Aristotele; Politica; I, 1252, b; trad. a cura di C.Coppola, Lett. greca classica, Nuova accademia editrice, 1962).

La sua figura è avvicinabile a quella del legislatore Diocle, di Siracusa, anche egli uccisosi per aver trasgredito alla legge; stranamente la critica moderna tende a ritenerlo una figura immaginaria, una ipostasi della divinità solare (o tempora o mores...?), mentre di lui ci parlano, oltre i già citati, Valerio Massimo, Diodoro Siculo, Giovanni Stobeo (Florilegi 44,40). Ma di giudici che hanno amato la giustizia, l'uomo libero, l'amico, più della loro stessa vita ne abbiamo conosciuto anche il tono della voce.
Parla di Caronda Cicerone in De Legibus.

"Colui il quale obbedisce dovrebbe attendersi di poter divenire sovrano in futuro, e colui che regna deve ricordarsi che, anche presto, dovrà obbedire. E noi dobbiamo provvedere, come Caronda fece con le sue leggi, a far sì che i cittadini non solo siano obbedienti a dovere nei confronti dei magistrati, ma anche che essi li amino e li rispettino" (III, 2, 5).

Oltre lo scritto quel che si sa di Caronda appartiene alla leggenda: considerando dannoso il carcere ai fini educativi, preferiva condannare i colpevoli di reati minori a dover sottostare agli sberleffi della cittadinanza vestiti da donna (aveva capito che alcuni quanto più sono malandrini, tanto più sono suscettibili e vanitosi. Inventarsi vanitosi è l'unico loro motivo di vita, una volta accantonato il senno che nasce con l'uomo).

E ancora: per evitare che alle riunioni di governo in occasioni di votazioni si prendesse la parola solo per creare confusione, chiedeva che chi era tra i propositori di emendamenti si presentasse già con una corda al collo, da usare qualora la neo proposta venisse giudicata inutile, e quindi respinta con perdita di tempo. Oggi, addirittura, abbiamo visto che c'è chi mostra in Parlamento una corda agli altri colleghi avversi. E udito chi parla di pallottole economiche per gli stessi. E di soluzioni 'esplosive' per agevolare i cambiamenti sociali. Stoltamente, ancora la rabbia cieca, e inutile, segue a furti reiterati ai danni della cosa pubblica. Come sempre.

Sempre il mito dice che egli proibì ai partecipanti alle assemblee cittadine di portare con sè armi. Ed avvenne che, a causa di disordini, entrò di fretta nella sede di governo con ancora la spada al fianco, cosicché decise di punirsi con la stessa, uccidendosi.

Ritornando ai fatti documentati, la figura di Caronda ed il giudizio che si può esprimere su di esso, sorprendentemente pone all'unisono i pareri dei due opposti, emblematicamente, pensieri di Aristotele e Platone; così pure si esprime l'allievo di Socrate:

"Gli chiederemo: 'Caro Omero, se è vero che in quanto a virtù non sei terzo a partire della verità, se cioè non sei quell'artigiano di una copia che abbiamo definito imitatore, e se è vero invece che vieni al secondo posto e che sei riuscito a conoscere quali occupazioni rendono migliori o peggiori gli uomini in privato e in pubblico, dicci quale stato per merito tuo ha ottenuto un governo migliore, come Lacedemone per merito di Licurgo e molti stati grandi e piccoli per merito di varie altre persone; di' quale stato ti riconosce il merito di aver agito da buon legislatore e fatto l'utile dei suoi cittadini. Italia e Sicilia lo riconoscono a Caronda e noi a Solone, ma a te chi?" (Platone, La Repubblica, X, 599, e; trad.F.Sartori, Ed. Laterza, 1994).

Qui, riferite da Stobeo (in G.E. Ortolani, Biografie degli uomini illustri della Sicilia, Forni Ed. Bologna, 1827) abbiamo dei pensieri carondiani: - Deve regnare tra i semplici cittadini, e quei che sono alla testa
del Governo, l'istessa tenerezza, che regna tra figli, e genitori.
- Gli sposi saranno felici, che tanto che si manterranno scambievolmente la fede promessa.
- Che vi fossero pubblici Precettori per istruire la gioventù, e che
fossero pagati dal pubblico erario.
- E' permesso il divorzio, e le figlie femmine restano colla moglie,
e i maschj presso il marito.
- Che sia lecito ad ognuno accusare, ma se uno sarà scoverto calunniatore, sarà esposto alla berlina con una corona di tamericio.
- Che il delinquente sia quanto si può condannato alla pena del taglione.

Ateneo ci tramanda che le righe legiferanti di Caronda servivano come versi per dei canti, persino:

"Ad Atene (o Catania) persino le leggi di Caronda erano cantate in feste di vino, come Ermippo dichiara nel sesto libro del suo lavoro Sui legislatori. (Ateneo; 619, b; op. cit.).

Ed in Diogene Laerzio troviamo che anche la figura di Pitagora viene quasi relegata nel mito, con la annotazione di episodi miracolistici. Viene così citato Caronda:

"E che molti altri in Italia egli abbia resi uomini onesti e gravi, e tra questi Zaleuco e Caronda legislatori; ché era sopratutto un appassionato creatore dell'amicizia e quando sapeva che qualcuno aveva adottato i suoi simboli, subito entrava in relazione con lui e gli diveniva amico". (VIII, 16; a cura di M.Gigante, Laterza, 1976).

Caronda, infine, è collocato nel Catalogo Giamblico tra i pitagorici insieme ad un altro catanese: Lisiade. (Iamblichus, De vita Pythagorica, 267).

 

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