Evemero
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Valle dei Templi (Agrigento)Non è con certezza nativo della Sicilia, ma ciò è da attribuire alla sua vocazione per i grandi viaggi esplorativi, che lo videro a lungo lontano dall'isola. Ma più fonti lo danno nativo di Messina (Stephanus Byzantius, Aelian. var. hist. II, 31)) o di Agrigento (Clemente Alessandrino, protr. 2, 24). Riportiamo la seconda fonte:

"Mi viene da meravigliarmi come mai abbiano chiamato atei Evemero di Agrigento, Nicanore di Cipro, Ippone, Diagora di Melo oltre al filosofo di Cirene di nome Teodoro; costoro con altri vissero saggiamente e videro con più acume degli altri l'errore a proposito di dei".

Il popolo dei Messeni occupò in Sicilia Messena (già Zancle, infine Messina) nel V secolo a.C. ed il messene, se di tale colonia era, Evemero vi visse probabilmente dal 340 al 260 a.C. (poi nel 288 la città venne occupata dai Mamertini, prima di divenire città romana).

Evemero fu amico di Cassandro, re di Macedonia nel 306, e per conto del quale il poeta fece diversi viaggi, tra i quali uno attraverso l'Oceano Indiano; nell'isola di Panchea egli trova e descrive un sistema sociale basato sulla coesistenza di tre classi: sacerdoti ed artigiani, coltivatori, soldati: ciò egli riporta nella Sacra scriptio (Registro sacro). Dell'opera abbiamo testimonianza dello storico Diodoro, che ne ha riportato dei frammenti, e alcune parti nella traduzione in latino da Ennio, lavoro a sua volta pervenutoci grazie a Lattanzio: la versione originale consisteva di circa tre libri, i framenti che ci sono giunti sono 26.

Il viaggio di Evemero inizia dall'Arabia e, dopo molti giorni di mare, fa capo all'isola di Panchaia. Lì incontra la mite gente adoratrice di Zeus Trifilio, che al dio aveva eretto un tempio su di un altissimo monte. Anzi, per la locale mitologia era stato Zeus stesso a costruirselo. Nel tempio vi era una stele d'oro, decorata con incisioni che illustravano le gesta di Zeus e dei suoi discendenti: Urano, Crono, Zan.

L'isola era dotata di fertile suolo e di ricche miniere, ed era organizzata secondo i principi di una comunità da regole dettate da Zan. Ma ciò che attira è il voler mescolare di Evemero elementi mitologici, riferimenti filosofici - Platone - tradizioni di diversi popoli, creando un componimento dal tono romanzesco. Per egli gli dei hanno origine umana, saliti a gloria divina per l'affetto dei loro cari, o, nel caso di re mortali, divinizzati per la ricoscenza data loro dai sudditi; a ciò contribuì l'aver egli visto nell'isola la stele antichissima dedicata a Zeus, dove si narrava di gesta nobili compiuti da comuni uomini, per questo poi assurti a deità. Tale visione dell'intero universo religioso greco ebbe larga fortuna in Roma, venendo bene incontro alle pragmatiche, soddisfatte voglie di conquista dei romani - tale concezione prese il nome di evemerismo - e non contraddiceva quanto attuato in campo storiografico dai greci, di impronta razionalistica nella considerazione dei miti eroici tutti, da Ecateo in poi. E ciò come in Archestrato, quindi, le cui idee amplificate e riorganizzate da Epicuro, furono amate dalla Roma patrizia.

Evemero, come Teognide, deve aver avvertito che cambiamenti sociali erano in atto; vi era un affermarsi della borghesia sottraendo forza alla sempre meno solida aristocrazia. E si ha meno fede nei valori trasmessi dai padri, nei culti per le famiglie divine greche, e cresce la voglia di ritrovarsi in una società diversa, fondata su nuove regole che diano maggiori garanzie a chi si vede in politica ascesa. "Superno, figlio di Leto, voluto da Zeus, giammai ti dimenticherò" decanta commosso Teognide, reagendo al cambiamento. E chi invece si bea delle nuove prospettive addirittura viaggia lontano, sognando, trovando conferme ai propri nuovi bisogni. Tale "panta rei" dell'animo umano ha varii ricorsi nelle epoche che ci hanno trasportato il nostro oggi. Ciò basta a distaccarci dalle furiose lotte di ogni presente, il nostro non è migliore o peggiore d'altri, per suggerirci che i valori cui mirare sono perenni e quasi mai evidenziati dai contemporanei.

 

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