Stesicoro di Imera
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Mezzobusto di StesicoroPoeta lirico del VII-VI secolo a.C. ma il cui vero, e comune, nome è Tisia. Stesicoro sarebbe il sopranome avuto dal poeta per la sua professione di ordinatore di cori.

Visse quasi tutta la sua lunga vita a Imera, forse la sua città natale ed è una delle più importanti figure della lirica greca; gli ultimi anni di vita li trascorse, pare, a Catania. A Imera si espresse contro un tiranno di Agrigento - forse si trattava di Falaride - che aveva preso di mira la città per nuove conquiste.

Della sua vastissima produzione di 26 libri, nella raccolta alessandrina ci sono rimasti scarsi frammenti, insufficienti a definire la posizione del poeta nei confronti della tradizione lirica, per capire in che misura i suoi successori la affrontarono dopo la sua lezione.

Fonte incerta in questo caso, la Suida, fornisce come data di nascita del poeta quella della 37_ Olimpiade, e cioè 632/629 a.C. e quella della morte nella 56esima Olimpiade (556/553 a.C.).

Da San Girolamo apprendiamo che il poeta era già famoso a venti anni, e Cicerone riferisce che fu operoso sino a tarda età. Il poeta potrebbe anche essere stato originario di Matauro o di Pallantio (Arcadia), rifugiatosi a Catania per motivi politici, ma la tradizione e Platone nel Fedro lo danno cittadino di Imera. Incerto è il nome del padre; forse Esiodo, se non Eufemo.

Egli lavorò a quel genere di lirica corale sacra posto al servizio della cerimonia religiosa, come Ibico, e già perfezionato da Alemane; cionostante, diversamente da questo Stesicoro fonda la sua composizione sulla narrazione e celebrazione del mito. La sua lirica elabora le vecchie leggende popolari greche e, tra queste, quelle eroiche sono preferite a quelle divine.

Le testimonianze antiche sono concordi nel riconoscere a Stesicoro delle altissime qualità di poeta, considerandolo una sorta di Omero lirico (Quintiliano). La tecnica compositiva di Stesicoro ci sfugge completamente: forse possiamo farcene una idea dalla IV Pitica di Pindaro, che venne raccolta dai filologi alessandrini in 26 libri. E' da ritenere che grande influenza ebbe la sua trattazione, con narrazione ampia, della materia mitica sull'arte plastica e sulla letteratura posteriore, specie nella tragedia ateniese. Nel campo della lirica rappresentò cio che Esiodo era stato per l'epica.

Tra i titoli delle sue composizioni si ricordano particolarmente: Giochi funebri in onore di Pelia (forse facente parte del ciclo degli Argonauti), Gerioneide, Cerbero, Cicno, Europeia, Erifile, Cacciatori del cinghiale, Scilla. Molte composizioni movevano dal ciclo troiano: Caduta di Troia, Ritorni, Orestea, Elena con la Palinodia (una ritrattazione del mito di Elena). Della caduta di Troia abbiamo una rappresentazione figurata in una tavoletta eburnea romana (Tabula Iliaca Capitolina); in essa già appare il mito di Enea che fugge in Esperia. Molti dei lavori sudetti andrebbero intesi come appartenenti ad un nutrito ciclo, quello di Eracle. Il sopranome di Stesicoro, come riferisce la Suda, gli è stato dato "Perché fu il primo a dirigere un coro con un canto accompagnato dalla cetra". Ed è da supporre che piuttosto Stesicoro, malgrado componesse con partizione triadica - adatta a più gruppi vocali - cantasse lui stesso accompagnandosi come citaredo (suonatore di cetra). Per egli le Muse sono le: "Guide della canzone" (Ateneo, I Deipnosofisti; 180, e; op. cit.).

Un papiro di Ossirinco con un frammento di un saggio letterario del periodo alessandrino, pone sullo stesse piano Stesicoro, Esiodo ed Omero.

L'influenza che ebbe sulle arti anche figurative è testimoniata dalla famosa Tabula Iliaca del I sec. d.C., con un bassorilievo e delle incisioni in greco, come "Ilios" e "Stesicoros"; il bassorilievo raffigura una serie di immagini, con personaggi e il relativo nome, dei fatti della caduta di Troia. Vi si vede, ad esempio, Enea che fugge dalla città natale con sulle spalle il padre Anchise e portando via anche il piccolo Ascanio. Ciò dimostra che nel I secolo dell'Impero Romano l'opera di Stesicoro era ancora molto apprezzata (erano trascorsi circa seicento anni dalla sua morte) ed è da considerare la testimonianza più antica del mito di Enea, che fugge via per trovare rifugio e una nuova patria in Italia.

Lo stesso papiro di Ossirinco riferisce che sia Eschilo che Euripide hanno tratto ispirazione dall'eredità di Stesicoro.

Una leggenda vuole Stesicoro autore della Palinodia per recuperare la vista dopo averla perduta per punizione da parte dei Dioscuri per aver offeso Elena nella sua lirica.

"A me dunque, mio caro, s'impone la necessità di una purificazione: ora esiste per coloro, le cui colpe riguardano la mitologia, un antico rito purificatore che rimase ignoto ad Omero; ma non a Stesicoro. Privato della luce degli occhi, per aver parlato di Elena, non rimase come Omero, ignaro della causa, ma l'ispirazione poetica gliela fece individuare, perciò non indugiò a comporre questi versi (...). E, appena ebbe ultimata la cosidetta Palinodia, riebbe tosto la vista". (Platone, Fedro, A. Mondadori, Milano, 1951).

Si pronuncia Ateneo sul Ciclo di Eracle: "E Stesicoro nomina la coppa usata nella caverna del centauro Pholus come skyphion depas, cioè 'simile a skyphos'; di Eracle egli dice:

'E afferrando la coppa simile a skyphos, di misura uguale
a tre lagynos, egli l'avvicinò alle sue labbra, e bevve.
La stessa coppa che Pholus ha miscelato e preparato dinnanzi
a lui'.

Perciò, si dice che lagynos (caraffa) è il nome di una unità di misura in uso tra i Greci (il lagynos equivale al kotylai, cioè circa tre litri; n.d.A.). Così sono il chous ed il kotylé. Il lagynos equivale a dodici kotylai Attici". (499; a, op. cit.).

"Quindi la frase nel Racconto di Gerione (Gerioneide), di Stesicoro: 'misurando l'equivalente di tre lagynos' contiene delle incertezze riguardo alle tre unità". (499, e; per i grecisti: 1- ò làgynos. 2- n làgynos. 3- tò làgynos; n.d.A.). Altrove, vedi su Sofrone o Epicarmo, si trova anche una 'hemina'; è l'equivalente circa di un litro.

"Costui è l'eroe, dice Megacleide, il quale i più recenti poeti descrissero come un duce solitario e vagabondo, trasportando una mazza, una pelle di leone e dei buoi; il primo a descriverlo in tal maniera fu Stesicoro di Imera" (513; a). Altri miti ci descrivono un Ercole in azione anche con le donne: al triste Testio deflorò cinquanta figlie.


Da I GIOCHI FUNEBRI IN ONORE DI PELIA

Poiché Amphiaraus vinse la gara del salto, ma Meleagro la ebbe vinta nel giavellotto. ( 172, f)

Dolci al sesamo, monete, paste al miele ed olio (enkrides), ed altra pasticceria, e miele giallo". (172, d; ed in 645, e).

Ateneo riferisce anche, che Panyassis, secondo la testimonianza di Seleuco, fu il primo a descrivere l'uso egiziano dei dolci durante le cerimonie con l' offerta di sacrifici umani: "egli dice che sopra le vittime essi ponevano molti dolci e dei pulcini".

le creature appena nate, si può ipotizzare, servivano da contrasto per mitigare le sensazioni procurate dalla esecuzione di esseri umani, freddi corpi irrigiditi, ormai oltre la soglia del più grande dei misteri.

Concludiamo, come è d'obbligo per Stesicoro, la presente scheda parlando d'amore, e della pura ed innamorata Calyce:

"Aristosseno, nel suo quarto libro del suo lavoro Sulla musica, dice:
'Le donne d'un tempo cantavano una canzone detta Calyce. Venne composta da Stesicoro, ed in essa una fanciulla di nome Calyce, innamorata del giovane Euathlus, invocava con modestia Afrodite perché essa potesse essere sua sposa. Ma quando il ragazzo la trattò senza riguardo, essa si lanciò da una rupe.
La tragedia accadde a Leuca. Il poeta rappresentò il carattere della ragazza casto in tutto, per il suo non voler giacere con egli ad ogni costo, ma pregando di potere, se possibile, diventare moglie vera di Euathulus; o, in caso contrario, di poter essere dispensata dalla vita".
(Ateneo; 619, e).

 

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