E' poeta ionico di Iuli nell'isola di Ceo, natovi nel 556 a.C. e morto ad
Agrigento IMG nel 467-468 a.C. Visse in pieno
splendore greco militare e culturale, ed è tra i più grandi poeti di corte della lirica
corale dedicata agli dei ed alla gloria dei tiranni. Davvero in pochi tengono presente
quanto riferisce Cicerone su di lui, che "fu il primo, a quanto
dicono, ad inventare l'arte della memoria" (De Oratore II, 351). Asserzione pure
ripetuta da Francesco Petrarca:
"A ragione disse Temistocle a coloro che gli volevano insegnar l'arte di
far buona memoria alhora trovata da Simonide, che haverebbe voluto più
tosto imparare l'arte dello sdimenticar che l'arte del tenere a mente. (F. Petrarca,
De rimedi dell'una et altra fortuna, XIX)
Il suo carattere ionico è rivelato dal suo stile e dalle sue fini scelte poetiche,
nelle forme di elegia, canto conviviale, epigramma, encomio, inno
ognuno a volte velato da mestizia, tale da rassomigliarlo a Teognide
o al pensiero Sofista ancora da venire.
Ricevuta naturalmente in patria la sua educazione, Simonide si recò presto come maestro
di cori nelle terre della Magna Grecia e nella Trinacria. I tradizionali grandi giochi
nazionali lo videro acclamato cantore, prima di vincere ancora la gara poetica per inni
per la celebrazione dei morti delle Termopili, superando la
concorrenza pure di Eschilo; ma ebbe modo di mostrare ancora il
suo valore ad Atene verso il 520 alla corte del pisistratide Ipparco; poi
dopo la morte di questo andò per invito degli Scopadi a Crannone e degli Alevadi di
Larissa, in Tessaglia (514); A Crannone assistette alla disastrosa fine della famiglia
degli Scopadi nel momento del governo di Scopa II, per il crollo
dell'edificio ove erano riuniti per desinare.
Simonide, unico superstite - il mito dice per intervento divino, dei Dioscuri - commemorò
gli ospiti defunti con un genere di poesia a lui molto congeniale: il treno. Si narra che
a Simonide fosse stato promessa una somma di denaro qualora fosse riuscito a deliziare il
sovrano Scopa ed i suoi commensali con un suo componimento da recitare
durante il convivio. Simonide declamò bellissimi versi, ma il capriccioso Scopa volle
mostrarsi ingiustamente ingrato, svilendo la composizione e volendo concedere solo metà
della somma a priori pattuita. Simonide non fece in tempo ad addolorarsi di ciò in quanto
gli venne riferito che due signori lo richiedevano presso l'ingresso della casa di Scopa.
Quando Simonide uscì dalla sala da pranzo, il tetto dell'abitazione franò sui rimanenti
commensali, uccidendoli (Cicerone, De Oratore).
In seguito le vittorie elleniche contro i persiani gli ispirarono in patria canti di
celebrazione. Per le battaglie navali di Salamina e dell'Artemisio compose carmi melici,
ed anche una elegia per i caduti di Platea. Anche negli agoni ditirambici vinceva ancora,
56 volte; una delle vittorie porta la data del 476 a.C.
Venne poi invitato dai tiranni siciliani Terone e Gerone alle corti di
Agrigento e Siracusa aumentando la sua produzione poetica legata sì al passato della
tradizione corale, ma sempre aperta ad accogliere le nuove proposte del suo tempo, con
finezza e luminosità. Quel poco che rimane della sua vasta produzione - cento frammenti - spicca per sensibilità verso gli aspetti mesti
della vita umana, mai certa della rara serenità donata dagli dei.
Un piccolo raggio di luce sulla sua personalità lo invia Eracleide,
citato da Ateneo di Naucrati:
"Persino i più saggi uomini, riferisce Heracleides, coloro
che godono della più alta reputazione in fatto di saggezza, riconoscono nel piacere il
più alto bene; Simonides per esempio afferma: 'Che vita sarebbe desiderabile, tra i
mortali, senza il piacere, o quale fine potere? Senza di esso persino la vita degli dei
non sarebe invidiabile'. E Pindaro, ammonendo Gerone, il sovrano
di Siracusa, dice: 'Non permettere che la tua gioia sbiadisca mentre che hai vita, poiché
una vita gioiosa, siine certo è di molto la migliore per l'uomo'". (512, c;
Ateneo; op. cit.).
Ed ancora in Ateneo:
"A tal proposito Camaileone asserisce nel suo libro Su Simonide che
il poeta stava una volta cenando alla corte di Gerone. L'arrosto di lepre non gli venne
servito, come invece era stato fatto cogli altri ospiti; sebbene Gerone stesso gliene
diede un po' del suo, prontamente parodiò: 'Diffuso invero, ma cionostante non mi
ha colpito'. E' un dato certo che Simonide era uno spilorcio ed avido di
guadagno, asserisce Camaileone. In Siracusa per esempio Gerone era solito mandargli
generose forniture per i suoi bisogni quotidiani, ma Simonide vendeva quasi tutto
trattenendo poco per sé. Quando qualcuno gliene chiese il motivo, rispose: 'Io desidero
mostrare al contempo la generosità di Gerone e la mia frugalità'. (656; d, e).
Famosissimi furono per tutto il mondo ellenico i versi di Simonide; li cita Sofocle
in un momento molto particolare:
'Dalle sue labbra cremisi la donna emette discorsi' : "Sofocle
era appassionato di giovanetti, così come Euripide amava le donne. Il
poeta Iono, ad ogni modo, nell'opera detta Epidhimiais (Soggiornando tra i popoli;
n.d.A.), scrive ciò che segue:
'Io incontrai il poeta Sofocle a Chios quando navigava come generale di Lesbo, ed era
ebbro di vino e pronto. Un suo amico di Chiansi, Ermesilao, pròsseno di Atene, lo
intratteneva; apparve poi, accanto al fuoco, il porgitore di vino; era questi un bel
giovane roseo. Sofocle ne fu chiaramente interessato, e disse:
- Desideri che io beva con gradimento? -
E quando il ragazzo rispose di sì, egli aggiunse:
- Se è così non porgermi e non riprenderti la coppa troppo velocemente -
Quando il giovane arrossì ancor più, palesemente, egli disse all'uomo col quale divideva
il divano:
- Scrisse una gran cosa Frinico dicendo: ''Splende sulle sue
cremisi guance la luce dell'amore''. A ciò l'uomo di Eretria, un insegnante,
rispose:
'Sei saggio, Sofocle, nell'arte poetica; cionostante Frinico non si è espresso
felicemente quando definì cremisi le guance di un bel giovane. Poiché se un pittore
volesse passare del colore cremisi sulle guance di questo ragazzo, egli più non
sembrerebbe bello. E' certo che non si può comparare la bellezza con ciò che non è
palesemente bello'.
Ridendo sonoramente all'eretrio Sofocle ribattè:
- E così, tu, straniero, non ami ugualmente quel verso di Simonide, che
i Greci ritengono così espressivo: ''Dalle sue labbra cremisi la donna emette
discorsi''; e neppure apprezzi il poeta che definisce ''Apollo dai capelli
d'oro''; poiché se un pittore ha reso i riccioli del dio d'oro, invece di neri, il quadro
non sarebbe bello. Ciò vale anche per il poeta che disse: ''dita rosate''; poiché se uno
immergesse le sue dita in tintura di rosa, si renderebbe le mani uguali a quelle di un
tintore di porpora, e non simili a quelle di una graziosa donna -.
Seguì a ciò sonora risata, e mentre l'eretrio sbottava per il rimprovero, Sofocle
riprendeva la conversazione col giovinetto. Egli gli chiese, mentre cercava di togliere
una pagliuzza dalla coppa con un suo piccolo dito, se egli riusciva a vedere la pagliuzza
bene. Quando il giovane rispose che egli l'avrebbe vista, Sofocle aggiunse:
- Allora soffiala via, perché non voglio che tu ti bagni le dita - . E non appena il
ragazzo sporse il viso sulla coppa, Sofocle si avvicinò la coppa alle labbra, in modo che
le due teste fossero più vicine. Quando egli fu molto vicino al giovane, con un abbraccio
se lo strinse col braccio e lo baciò. Tutti applaudirono, tra risa e schiamazzo, perchè
la mossa era stata eseguita così elegantemente; e Sofocle aggiunse:
- Gentiluomi, io faccio pratica di strategia dal giorno in cui Pericle mi rinfacciò che
quantunque scrivessi poesie, non sarei stato in grado di essere un generale. Non credete
invece che io abbia mostrato un felice stratagemma a me utile? - (Ateneo; 603, e;
604, d; op. cit.).
|