Timeo di Taormina
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Figlio di Andromaco, è uno storico di fama anche se a volte discusso. E' incerto il luogo di nascita, che potrebbe essere Taormina o Siracusa, nel 358 a.C. circa. Delle fonti (Luciano, Macrobi, 22) lo danno vissuto sino a 96 anni.

Si sa che venne esiliato dal tiranno Agatocle quando conquistò "Tauromenio" nel 316: suo padre Andromaco era signore di Taormina ed alleato di Timoleonte. Il letterato visse anche ad Agrigento, forse, prima di continuare l'esilio ad Atene, dove rimase per circa cinquanta anni.

L'opera storica maggiore di Timeo è la Storia siciliana. La successiva opera scritta da Timeo - una biografia vendicativa su Agatocle ben redatta ed aggiornata, in cinque libri - fa ritenere che egli abbia trascorso in patria gli ultimi anni di vita. Ateneo lo dice di Taormina, ed autore delle Storie. Polemone su esse compose una Replica a Timeo (Ateneo; 108, f).

Lo storico romano Polibio avversò l'opera principale del siciliano - in 38 libri, ma è evidente una rivalità professionale per uno studioso altrimenti ammirato e studiato per poter realizzare la propria ricognizione storica, seguendo l' esempio dell'altro romano Catone (Origenes), e di Diodoro Siculo (Biblioteca). Però l'elenco può continuare citando Apollonio Rodio, Posidonio, Callimaco. Una delle critiche scagliate sul lavoro di Timeo riguarda la sua netta affermazione che la pratica della schivitù in Grecia era quasi nulla, e coloro che si prestavano come schiavi lo facevano volontariamente. Ateneo, al contrario, riferisce con Epitimeo che Corinto, la ricca, aveva acquistato 460.000 schiavi (272; b). Ma è solo una delle tante testimonianze avverse a Timeo.

"E nel libro primo della sua Replica a Timeo egli (Polemone; n.d.A.) afferma che nella citta della Beozia, Scolus,, vi sono immagini venerate di Megalartus e Megalomazus". (109, a; tali due nomi posso tradursi come 'gran pagnotta' e 'grosso dolce d'orzo'; n.d.A.).

La storia dei Siciliani ed Italioti di Timeo - che conprende il passaggio, o ritorno, della Sicilia dal mondo greco a quello latino - ebbe successo nella Roma vincitrice, soddisfando il legittimo orgoglio romano per le loro fortune. Lo stesso Timeo si rifece al lavoro più antico di Isocrate: dal suo punto di riferimento egli si distaccò considerando solo i Greci presenti sul suolo italiano, dando quindi maggior risalto all'azione storica romana.

La sua modernità sta anche nell'aver utilizzato abbondantemente fonti documentarie e descrizioni etnografiche dei popoli protagonisti degli eventi da lui narrati, anche se non fu testimone diretto di essi; tale metodologia gli darà fama sino al III secolo d.C., e il buffo nomiglolo di "elemosinante", di notizie. E per primo e felicemente usò le date delle Olimpiadi greche come punti di riferimento degli accadimenti storici.
Delle opere di Timeo ci restano circa 150 frammenti, con tracce di curate annotazioni, o di veri e propri tomi, sulle vicende del re dell'Epiro, Pirro.

Qui abbiamo un esempio, classico davvero, di gelosia professionale; come Polibio, Diodoro ha qualcosa da rinfacciare al collega conterraneo, e con qualche ragione:

"Del che m'è piaciuto parlare con qualche cura, perché si vegga, che Timeo, il quale uso è a riprendere con molta acerbità gli scrittori che vissero prima di lui, e a non perdonare a nissun storico, viene ei mede simo colto in fallacia nel tempo in cui si professa diligentissimo predicatore di verità". (Biblioteca, libro XIII, cap. XVI; trad.C.Compagnoni, Pedone e Muratori, 1831)


Da Ateneo (153, d) sappiamo di una osservazione di Timeo, che trascrive l' usanza greca di far servire a tavola le schiave svestite sinché non raggiungessero l'età adulta. E c'è una osservazione su Diodoro, il filosofo che si mostrava in pubblico come Diogene il Cinico, cioè sporco, capellone e barbone; così vi fu chi pensò che anche i Pitagorici - lo era Diodoro - si mostravano trasandati. Essi, invece, amavano vestire di bianco, ben rasati e lavati (Sosicrate, in Ateneo; 163, f).

"Diodoro di Aspendio, diede il primo esempio di atteggiamento eccentrico, volendo che lo si riconoscesse come uno dei Pitagorici; a lui inviò un messaggero Strabone, istruito di riferire un ordine a
'quel tale seguace di Pitagora che s'aggira presso il Portico
(di Polignoto, luogo d'incontro degli Stoici; n.d.A.) causando ressa di gente incuriosita dal suo malvestire, dai suoi atteggiamenti folli e insolenti'" (163, e, f; op. cit.).

Ateneo fornisce in seguito una generica descrizione del mondo musicale greco, e per ciò cita anche Timeo; ad Atene erano preferiti i cori circolari, che si esibivano per le feste dedicate a Dionisio. A Siracusa, invece, erano più in voga le canzoni eseguite da gruppi di cantori-scrittori satirici:

"Quelli chiamati Laconisti - dice Timeo - cantavano in cori disposti ad angolo retto" (181, b; op. cit.).

E sempre dallo studioso egiziano del II, III secolo d.C. veniamo a sapere di avvenimenti di corte nella Siracusa di Dionisio II (IV sec. a.C.), riferendo la testimonianza di Timeo.

"Nel ventiduesimo libro delle sue Storie, Timeo ci parla di Democle, parassita (ospite; n.d.A.) di Dionisio il Giovane. Esso narra che era usanza in tutta la Sicilia offrire sacrifici alle Ninfe di casa in casa, riducendosi a trascorrere la notte ebbri girando intorno, danzando, alle statue delle divinità.
Democle, noncurante di tale culto, dichiarando che gli uomini avrebbero fatto meglio a non preoccuparsi di statue senza vita, iniziò una danza proprio intorno a Dionisio".

"Tempo dopo, Democle andò via per una ambasciata con altri, a bordo di triremi; venne poi, al ritorno, accusato dai compagni di averli istigati alla rivolta, ed aver recato danno alla negoziazione di Dionisio, danneggiando così l'interesse pubblico. Ciò irritò il tiranno moltissimo, ma Democle si difese sostenendo che la lite tra lui ed i suoi accusatori era nata dall'aver scelto loro, per dei canti da dopo cena, in nave con altri marinai, dei peana di Frinico o di Stesicoro o di Pindaro; egli, invece, avrebbe voluto con altri cantare dei peana composti dal re Dionisio. In sovrappiù, egli assicurò che avrebbe fornito la prova di quanto detto; i suoi accusatori non sarebbero stati in grado nemmeno di dire quante composizioni aveva composto il loro signore, mentre egli avrebbe potuto cantarle nel giusto ordine. Quando poi l'ira di Dionisio si placò, Democle volle ancora insistere: 'Mi fareste una grazia, Dionisio, consigliandomi qualcuno che conosca la vostra composizione in onore di Asclepio? Ho sentito dire che vi avete dedicato molto tempo'".
"Una volta, ancora, durante una cena che Dionisio aveva offerto ad amici, Dionisio entrando nella sala, esclamò: 'Amici, sono giunte delle missive, dai nostri ufficiali inviati a Napoli'. Su ciò Democle disse la sua: 'Dionisio, per gli dei, che bello!' Dionisio lo squadrò dicendogli: 'Come fai a dire che ciò che è stato scritto ci soddisfa, oppure no?' E Democle replicò: 'Dionisio, per gli dei, che bello rimprovero mi fate!'" (250, a, b, c, d; op. cit.).

Altro frammento da i Deipnosofisti ripete quanto annotato da Timeo circa l' uso domestico degli schiavi:

"Timeo di Tauromenio, nel nono libro delle sue Storie, riferisce che non era consueto che gli Ellenici dei tempi più antichi si facessero servire da servi acquistati. Egli scrive quanto segue:
'La gente accusò Aristotele di aver errato nel riferire delle usanze dei Locriani. Non era loro usanza, come non lo era per i Fociani, il possedere persino domestiche o maschi asserviti se non per un periodo voluto come garanzia. Non vale ciò per la moglie di Filomelo, che agì a Delfi, che fu la prima donna a farsi accudire da due serve. Lo stesso fece Mnasona, l'amico di Aristotele, il quale acquistò circa mille schiavi, divenendo molto odioso ai Fociani per aver privato così tanti cittadini dei necessari mezzi di sostentamento; a causa sua, si dice, che divenne usanza che nella vita domestica i membri più giovani della famiglia servissero i più vecchi'".
(264; c, d; op. cit.)


"Timeo nel tredicesimo libro delle sue Storie, disquisisce su una rocca siciliana (che io intendo di Hycara) e dice che la fortezza aveva tale nome in quanto i primi uomini che vi giunsero vi pescarono pesci denominati hycae, e, ciò che più conta, li trovarono in abbondanza. Per buon auspicio diedero il nome di Hycara al luogo". (327; b).

Probabilmente il pesce al quale si fa riferimento è il rossetto; una isola Ikaria si trova nell'Egeo, nell'arcipelago delle Sporadi, col nome derivato dalla leggenda, con la morte in quelle acque di Icaro. Lo stesso Ateneo si esprime con incertezza circa il nome della località sicula, non trovando altro in Timeo. Possiamo identificare tale sito con l'odierna Carini, che gli Ateniesi conquistarono nel 415 a.C. riducendo in schiavitù l'intera popolazione. Dovettero essere i Greci di Atene a dare nuovo nome, Yccara, alla nostra Carini, però forse in omaggio a quello della loro isola, e non a quello del pesce pescato nelle acque siciliane. L'origine del nome, invece, dell'isola dell'Egeo potrebbe avere avuto tale spunto, anziché da quello del mitico Icaro.
Famosa cittadina della città dei Sicani Hycara fu l'etera Laide.

"Timeo, a fugar ogni dubbio, nel tredicesimo libro delle sue Storie asserisce che essa era di Iccara; in ciò concordando con Polemone, il quale riferisce che essa venne uccisa da alcune donne in Tessaglia; ella s'era innamorata di un Tessalo di nome Pausania, e per invidia e gelosia venne colpita a morte con zoccoli di legno in un tempio di Afrodite. Dopo ciò, egli continua, il luogo venne rinominato dell'Afrodite Assassina.
La sua tomba si vede da oltre il fiume Pencio, sopra ha una brocca per l' acqua, in pietra, e reca il seguente epigramma:

'Era il tempo nel quale l'orgogliosa Grecia, dal potere invincibile, venne resa schiava dalla divina bellezza di Laide, la quale è qui, la quale Eros generò e Corinto nutrì; giace essa, adesso, nelle gloriose pianure della Tessaglia'.

Per quanto detto, coloro che dicono che essa venne cremata accanto il boschetto corniolo, s'inventano la notizia". (Ateneo; 589, a, b; op. cit.).

Ad un discorso di costume, popolare, ci porta la lettura di un altro frammento di Timeo. Leggiamolo prima di tutto:

"Timeo dice che 'Dionisio il tiranno durante la Celebrazione delle brocche offriva in premio una corona d'oro a colui che per primo svuotava la sua brocca; ed il primo che finì fu il filosofo Senocrate, il quale prese la corona e, lasciando i compagni, la sistemò sul capo della statua di Hermes, che stava nella corte. In ciò seguendo la sua abitudine di deporre le corone di fiori lì ogni volta che rientrava la sera a casa. Per tale gesto venne molto ammirato". (437; b).

Parlando Ateneo di gare di bevute di vino (occorre ricordare che normalmente i Greci bevevano vino misto ad acqua, miscelando due parti di esso in cinque di acqua, oppure una in tre; 426, d) in occasione di giochi o feste religiose, riferisce di una affermazione di Chares di Mitilene, da i Racconti su Alessandro:

" (...) il filosofo Indiano Kalanos si volle scagliare contro una pira funeraria che egli stesso aveva preparato, morendovi; ed egli ricorda come sulla sua tomba Alessandro istituì delle gare atletiche e gare di esecuzioni musicali delle sue preghiere. 'Egli' - dice (Chares; n.d.A.) - 'a motivo dell'amore per il bere da parte dei filosofi Indiani, pure istituì un torneo per bevute di vino non miscelato; il premio per il vincitore era un talentos, per il secondo trenta mine (una mina equivale a cento dracme; n.d.A.), e per il terzo dieci. Di coloro che bevvero il vino, trentacinque morirono subito per congestione da freddo, e sei altri lentamente di spensero nelle loro tende.
L'uomo che bevve di più guadagnando la vittoria bevve dodici quarti, ed ebbe il talento, ma visse solo quattro giorni ancora; ebbe il titolo di Promachos'". (437; a, b)

Promachos deriva da pròtos, cioè primo.


Nella fondamentale opera, per la più completa nostra concezione del mondo Ellenico, "La filosofia nell'età tragica dei Greci" di Federico Nietzsche si trova - proprio all'inizio del primo capitolo - un accenno alle tesi che vogliono esistenti dei contatti tra le figure della filosofia presocratica e e altre correnti di pensiero genericamente definite orientali. Chi ha avanzato tali tesi, peraltro molto criticate, è lo studioso tedesco dell'ottocento Gladisch; costui ha tentato dei confronti duali, ad esempio, tra Empedocle e gli Egiziani, o addirittura tra Pitagora e i Cinesi. Nell'età posteriore, in quella di Alessandro, i contatti tra la filosofia greca e quella indiana hanno un sicuro riscontro nel sopra scritto frammento, per la citazione del filosono 'Indios' Kalanos. Ciò si inserisce nel più grande quadro di innovazione culturale seguito alle conquiste asiatiche di Alessandro Magno. I dati storici anteriori si fermano a Talete, che frequentò i dotti egizi.

 

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